L’intervista: Mauro, 43 anni in Ascensori Rossini, si racconta.
Per Ascensori Rossini essere Società Benefit significa investire nella sostenibilità, anche organizzativa. Questo vuol dire prendersi cura del patrimonio di conoscenze ed esperienze, della vita delle persone con le quali lavora.
Il dialogo con Mauro ha proprio questa finalità. Oggi è in pensione, ma ha dedicato tutta la sua vita professionale al mondo degli ascensori: una storia interessante da raccontare, perché di questi tempi lavorare per una sola azienda in tutta la propria vita e crescere insieme, è quasi una rarità. Esploriamo insieme in questa chiacchierata cosa lo ha reso possibile.
Benvenuto, Mauro! Com’è la tua storia in Ascensori Rossini?
“Io in Ascensori Rossini praticamente ho iniziato a lavorare. Tutto è cominciato quasi per caso. A scuola non mi piaceva andare; o meglio mi piaceva e non mi piaceva. Non mi piacevano molto le cose teoriche, mi piaceva di più la pratica e lì me la cavavo bene, mentre nella teoria un po’ meno. Allora ho deciso di smettere di andare a scuola e cercare un posto da elettricista; ma quando io ero giovane non c’era tanto lavoro e gli elettricisti erano pochi, non come adesso che ci sono tante ditte e si riesce a trovare un’occupazione da una parte o dall’altra. Io avevo fatto alcune domande, ma non avevano avuto esito positivo. Un giorno il papà di Luciano Rossini, è venuto nel negozio di mia mamma e, quasi per caso, le ha detto che se volevo, potevo provare ad andare a lavorare da lui. È cominciato così.”
Che anno era, te lo ricordi?
“43 anni fa, era il 1979, io avevo 17 anni. Ho detto “Sì, proviamo!” anche se non si facevano impianti civili o interventi elettrici, anche se praticamente non avevo mai lavorato prima. O meglio avevo iniziato a fare qualcosa da un antennista, un negozio di stereo ad alta fedeltà, ma non avevo esperienza di impianti e cantieri. Gli inizi infatti sono stati un po’ duri, tanto da imparare per capire come bisognava svolgere il lavoro. I primi tempi ero abbinato ad un operaio che aveva esperienza; mi ha insegnato lui il mestiere, anche se per poco tempo perché dopo 7-8 mesi se n'è andato. E così mi sono trovato presto da solo a portare avanti il lavoro e i cantieri; poi, un po’ con l'aiuto di una persona che veniva nel pomeriggio e un po’ con l’aiuto del papà di Luciano che mi seguiva nelle varie attività e mi insegnava, sono riuscito a ingranare. Il resto è venuto tutto poco per volta.”
Poco per volta ma mettendoti sempre in gioco…
“Eh, si, in pratica. Fin dai primi tempi andavo da solo nei cantieri e c’era sempre qualcuno dell'impresa che mi aiutava, un muratore o un operaio o qualcun altro, però praticamente dovevo cavarmela da solo. In cantiere c’ero io e il lavoro, in un modo o nell’altro, doveva essere fatto; non c’erano alternative! Una responsabilità che oggi i giovani mi pare faticano a prendersi.“
E da quegli inizi sono passati 43 anni!
“Sì, ma son volati. Perché comunque il tempo con questo tipo lavoro trascorre rapidamente; le giornate non sono noiose, si passa da una cosa all'altra e mi piaceva perché non c'era mai un giorno uguale all'altro. Se poi c'era qualche imprevisto, o qualcosa che andava storto, a me piaceva ancora di più, perché mi stimolava a fare le cose sempre meglio.”
Secondo te che cosa ha permesso di stare così tanti anni nella stessa azienda?
“Il fatto che ho sempre lavorato senza nessuno intorno, a differenza ad esempio di quello che succede nel lavoro in fabbrica dove c’è un caporeparto che supervisiona costantemente. A parte le indicazioni principali che venivano impartite al mattino prima di andare a fare gli interventi, per tutta la giornata io poi ero libero, indipendente; se erano previsti 20 giorni, un mese, per fare un lavoro… mi gestivo come volevo. E questo a me è sempre piaciuto, Se avessi dovuto lavorare con qualcuno che stava lì a controllarmi, non avrei resistito tutti quegli anni.”
Che cos'è per te Ascensori Rossini?
“Ascensori Rossini per me è stata ed è un'azienda che ha saputo rinnovarsi, stare al passo con i tempi, che ha sempre puntato a fare i lavori con una certa qualità, lavori ben fatti e non con superficialità come capita in tanti posti.”
Quindi qualità del lavoro, capacità di rinnovarsi e di essere al passo con i tempi. In 43 anni di cambiamenti probabilmente ne hai visti tanti. Qual è il più grande cambiamento che hai vissuto?
“Il più grande cambiamento è stato dall'officina piccolina dove ho iniziato io qui a Fiamenga, attrezzata già bene però molto artigianale, a questo posto al Santuario più strutturato, con un maggior confort di lavoro, dove tutto era migliorato e più grande. Quando ho iniziato eravamo in due, io e quell’operaio che dopo pochi mesi dal mio arrivo è andato via, e quando sono andato in pensione eravamo più di trenta.“
Immagino che anche gli impianti in 43 anni siano cambiati tanto…
“Eh sì, perché quando ho iniziato io si facevano solo impianti con quadri a relè, e così è stato per qualche anno, poi sono subentrati i quadri a microprocessori, più sofisticati e complicati, poi è stata la volta di tutti i macchinari meccanici, con più tecnologia, che richiedevano maggior precisione e perfezione.”
Quindi da una parte Ascensori Rossini ha avuto la capacità di sapersi rinnovare e stare al passo con i tempi, ma anche chi lavorava sugli impianti, ha dovuto continuare a imparare e rinnovarsi.
“Sì, perché i materiali cambiavano abbastanza di sovente anche se facevano più o meno sempre la stessa cosa, quindi bisognava aggiornarsi su tutti i pezzi, su tutti i macchinari, su come si faceva il mestiere. Considerando che quando ho iniziato il papà di Luciano praticamente faceva le cose a mano, faceva proprio tutti i pezzi dell'ascensore manualmente. E anch'io all’inizio costruivo le cabine degli ascensori a mano: prendevo la lamiera, la piegavo o la facevo piegare da un fabbro qui vicino e dopo nel laboratorio dovevo lavarla, verniciarla, incollare sopra i laminati plastici oppure l’alluminio o l’acciaio o quello che era il rivestimento predisposto. Anche quello era un lavoro che mi appassionava molto: la costruzione della cabina era un lavoro di precisione e quando la facevo con un bel rivestimento e vedevo il risultato finale mi dava soddisfazione.”
Cosa ci vuole per fare bene il mestiere dell’ascensorista?
“Ci vuole un po’ di passione nel fare le cose e molto occhio per capire le varie cose, perché sembra semplice fare un ascensore: un macchinario che arriva lì e lo assembli, ma ci sono tante piccole cose, che se non eseguite bene, non coincidono tra di loro oppure non perfettamente e ci vuole molto tempo per riconoscere dove sono i problemi e dove intervenire per risolverli man mano che si va avanti con il lavoro.”
Precisione, passione, un po’ di occhio e forse più uno ha esperienza più si affina questa capacità.
“Infatti, i primi tempi era proprio quello che mi mancava, l’esperienza. A volte mi accorgevo che c'erano dei difetti negli impianti che avevo montato e bisogna andare a capire come correggerli. Dopo qualche anno, con l’esperienza, anticipavo i possibili difetti: mi rendevo conto già prima del problema che poteva presentarsi se avessi fatto le cose in un certo modo. Questa capacità di prevenire mancava nei primi anni di lavoro, ma era normale, perché non avevo ancora costruito quel bagaglio che l’esperienza sul campo anno dopo anno mi ha dato.”
Con il tempo si è affinato l'occhio, ma anche le mani imparavano facendo…
“Sì, sì, infatti le stesse difficoltà, le vedevo quando iniziavano a lavorare dei giovani: quando andavo ad aiutarli, vedevo gli stessi errori che avevo fatto io e, magari, davanti a un problema gli facevo vedere come fare per metterlo a posto, trasmettendo a loro quello che io avevo imparato negli anni. E quindi l'esperienza aiuta anche per insegnare agli altri e una volta trasmessa diventa un sapere di tutti. Cose che magari possono sembrare banali o semplici, ma che lo sono fino a un certo punto, perché comunque per un piccolo problema può rimanere anche fermo il cantiere se non si sa come risolverlo.
Qual è la parte più bella o la cosa più bella per te di un ascensore?
“La cosa più bella è quando premo il bottone per la chiamata, arriva la cabina, si aprono le porte e vedo la cabina che splende. In impianti di un certo livello poi vedere che tutto luccica, è bellissimo. Per me.”
E il lavoro che ti ha dato più soddisfazione in 43 anni di carriera?
“Tutti i lavori, più o meno, mi hanno dato soddisfazione. Non posso dire che ci siano dei lavori che non mi abbiano soddisfatto, io trovavo soddisfazione anche nel fare i lavori più brutti e sporchi: pulire o smontare le cose, specialmente quelle vecchie da recuperare o rimodernare. È bello riuscire a rimettere a posto impianti vecchi che hanno 30-40-50 anni, e sono dei carretti viaggianti, in modo che funzionino in modo efficiente.”
Quando le persone devono prendere un ascensore schiacciano il pulsante, la cabina arriva e li porta su o giù. Cosa ti piacerebbe che una persona pensasse entrando in un ascensore che hai fatto tu?
“Eh, che chi ha realizzato l'impianto ha fatto un bel lavoro e lo riconoscesse. Come, ad esempio, è successo con uno degli ultimi che ho fatto: quando l’ho finito il cliente è salito, ha fatto un giro e poi ha detto “Bravo, hai fatto un bel lavoro!”, era proprio contento e mi ha dato grande soddisfazione. Gliel'avevo curato il più possibile, in tutti i particolari. E lui era contentissimo.”
In un mestiere che anche tanto solitario, che richiede responsabilità e attenzione particolari, che tipo di rapporto c'è coi colleghi?
“Io mi sono sempre trovato abbastanza bene con tutti. A volte iniziavo un lavoro e poi dovevo passarlo a un altro, magari era completo al 50%, quindi cercavo sempre di lasciare le cose il più possibile in ordine e finite in maniera ottimale così che, subentrando, il collega potesse andare avanti tranquillamente, senza doversi scervellare per capire a che punto eravamo arrivati, senza difficoltà.”
Qual è l'insegnamento più grande che hai ricevuto in questi 43 anni?
“L’insegnamento più grande che ho ricevuto è di guardare sempre avanti e di sapersi adattare alle novità, alle cose che cambiano e, anche se a volte si fa proprio tanta fatica, cercare sempre di guardare le cose con una mente aperta.“
Cosa diresti a un giovane di 17 anni che vuole iniziare oggi questo mestiere?
“La prima cosa che gli chiederei è se è veramente convinto di fare questo tipo di lavoro, che richiede un impegno sia a livello meccanico che elettrico e se poi gli piace veramente fare cose così manuali. Perché quello che vedo in tanti giovani è che non ne hanno davvero idea: prendere un pezzo di carta e metterlo sul tavolo o fare un collegamento elettrico è la stessa cosa. Io non ho iniziato proprio con l’idea di fare gli ascensori; mi piaceva fare qualunque tipo di lavoro che avesse a che fare con la saldatura, il montaggio, le cose pratiche e manuali in generale, mi piaceva ancora di più se poi c'era da ricostruire e ammodernare le cose, fare un po’ di restauro.
Bisogna essere portati per fare certe cose, perché se non è così, anche se ti insegneranno il lavoro, non imparerai mai, resterai sempre uguale, dal primo giorno all'ultimo.
Se non si ha un minimo di spirito di iniziativa, secondo me non bisognerebbe neanche iniziare a fare l’ascensorista, perché se manca questa qualità non sarai mai in grado di essere autonomo, indipendente, di andare avanti da solo. Poi certamente si può avere bisogno del supporto di qualcuno ancora più esperto a livello tecnico di fronte a delle difficoltà o imprevisti, ma si deve cercare di imparare per cavarsela con le proprie capacità. Io i quadri elettronici li facevo a livello di cablaggio, ma magari se c'era qualche intoppo a livello di programmazione, mi dovevo rivolgere a qualcuno più esperto con la tecnologia, perché io non avevo una formazione informatica sufficiente per quella tipologia di soluzioni.”
Quale consiglio daresti in questo momento ad Ascensori Rossini?
“Ma non saprei… forse di continuare a rinnovarsi sempre e fare molta attenzione nella scelta delle persone, perché è difficile scegliere quelle giuste da inserire, specialmente i giovani, ce n'è 1 su 10 che riesce.”
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Ah… io dal futuro mi aspetto poco, ormai io la mia vita io l'ho fatta, oggi non ho più grosse ambizioni. Spero che mia figlia riesca a terminare gli studi e di riuscire a far studiare anche mio figlio e poterlo inserire nel mondo del lavoro. Questo è quello che spero.“
Grazie per la tua generosità e grazie per questa testimonianza!
“Prego.”